La demenza è una delle maggiori sfide sanitarie a livello globale. Nel mondo circa 50 milioni di persone ne sono affette secondo l’OMS e si stima che nei prossimi 20- 30 anni i casi saliranno a 140 milioni, anche in considerazione dell’invecchiamento della popolazione. In Italia secondo i dati dell’Osservatorio Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità attualmente sono più di 2 milioni le persone colpite : 1.200.000 soffrono di demenza e circa 900.000 di un disturbo neurocognitivo lieve ( MCI , Mild Cognitive Impairment ). Sono circa 600.000 i malati di Alzheimer, mentre altre forme di demenza neurodegenerativa hanno un peso meno consistente nella casistica . La demenza vascolare, invece, è la seconda forma più comune di demenza dopo la m. di Alzheimer.
Circa quattro milioni di persone in Italia sono direttamente o indirettamente coinvolte nella assistenza dei pazienti affetti da demenza. L’impatto economico è di circa 23 miliardi di euro/ anno di cui il 63% a carico delle famiglie. Questo il quadro attuale in numeri. Ma aldilà dei numeri la prima riflessione che si impone è che queste condizioni sono causa di profonda sofferenza per le persone affette e per chi è loro vicino ogni giorno , anche per lo stigma sociale e la paura di discriminazione che aumentano l’isolamento.
È importante definire la demenza, termine con cui si intende un deficit cognitivo (di attenzione, memoria, linguaggio, orientamento, ragionamento, critica, personalità ) multiplo, riguardante funzioni precedentemente normali e tale da compromettere l’autonomia della persona nello svolgimento delle attività quotidiane. È data dalla progressiva distruzione delle cellule cerebrali con conseguente deterioramento e perdita di funzioni e capacità . Il “deterioramento cognitivo lieve” è una condizione caratterizzata da difficoltà sfumate in uno o più domini cognitivi (memoria, attenzione o linguaggio ) che non compromette le normali quotidiane attività in modo grave, ma comunque in misura superiore rispetto alla maggior parte della popolazione di pari età. Nella metà dei casi può tuttavia progredire a demenza ,ma è spesso sottovalutata e misconosciuta mentre è cruciale individuarla precocemente per intervenire a rallentarne la progressione.
L’età è il più importante fattore di rischio non modificabile per la demenza , che si manifesta per lo più nelle persone di età superiore ai 65 anni, ma anche prima. Tuttavia la demenza è una patologia e non una caratteristica dell’invecchiamento normale , come erroneamente ritenuto da molti, ed è prevenibile e affrontabile. La familiarità ha un peso significativo in una percentuale ridotta di casi appartenenti a famiglie portatrici di mutazioni genetiche specifiche. La ricerca scientifica ha dimostrato che nelle forme di demenza neurodegenerativa il danno risulta da una interazione tra fattori genetici e numerosi fattori ambientali che favoriscono la deposizione a livello cerebrale di proteine tossiche responsabili della morte dei neuroni cerebrali (beta amiloide e proteina tau nell’Alzheimer e proteine diverse in altre forme ). Nella demenza vascolare invece la morte dei neuroni è secondaria ad un danno vascolare cerebrale ischemico o emorragico , ipossico , che coinvolge i grandi vasi o in alcune forme i piccoli vasi cerebrali.
Gli sforzi attuali per affrontare il problema sono rivolti alla prevenzione e alla ricerca di terapie che possano modificare il decorso delle demenze . Secondo il Report della Lancet Commission 2024 il 45% dei casi potrebbe essere evitato o ritardato agendo su 14 fattori di rischio modificabili : diabete ,ipercolesterolemia, ipertensione, fumo, abuso di alcol, obesità, inquinamento atmosferico, traumi cranici, depressione, inattività fisica, educazione/scolarità e attività cognitiva continua, prevenzione e trattamento della perdita di udito e della vista, isolamento sociale.
Preme sottolineare che tra i fattori di rischio modificabili , molto sottovalutato e di cui poco si parla,è stato inserito l’inquinamento dell’aria, che non danneggia solo polmoni e cuore come ormai dimostrato , ma anche il cervello. Sebbene la ricerche siano in divenire la letteratura scientifica negli ultimi anni si è molto arricchita sul tema con studi tossicologici ed epidemiologici e le evidenze degli effetti nocivi del particolato fine ( PM 2, 5) sulle capacità cognitive e sviluppo di demenza si sono fatte sempre più solide . Sebbene la maggior parte degli studi sul declino cognitivo sia focalizzato sulla popolazione anziana aumentano le prove che l’esposizione cronica al PM2.5 impatta negativamente anche sugli adulti più giovani. Questo sollecita politiche ambientali più rigorose : respirare aria pulita è garanzia per una vita e un invecchiamento più sani.
In Trentino ,sulla base dei residenti al 1° gennaio 2023 è possibile stimare 10.067 casi di demenza nella fascia d’età uguale o superiore ai 65 anni e 215 casi di demenza ad esordio precoce compresi nella fascia d’età 35-64 anni . Il numero di persone con MCI sarebbe di 8.456 secondo i dati dell’Osservatorio per le Demenze del’ISS.
Il fenomeno è in crescita anche fra i migranti. Tuttavia, la demenza in queste popolazioni è trascurata dalle politiche sanitarie e i dati e ricerche sulla prevalenza della demenza e fattori di rischio tra i rifugiati e migranti sono scarsi, oltre che sottostimati. In Italia sarebbero circa 50.000 i migranti affetti da disturbi cognitivi e demenza. Le barriere linguistiche e culturali rendono difficile l’approccio clinico e assistenziale , alterando già alla base la valutazione neuropsicologica delle persone con storia di migrazione.Da qui l’importanza di adottare politiche sanitarie adeguate e sensibili a queste diversità.
C’è ancora molto lavoro da fare per capire i meccanismi che favoriscono l’insorgenza e lo sviluppo di questa condizione .
Negli ultimi anni, tuttavia, la ricerca è avanzata sia nel campo della diagnostica che dei trattamenti, farmacologici e non.
Le nuove tecnologie ( IA , telemedicina ..) stanno rivoluzionando sia la diagnostica che la gestione di queste patologie e vanno sviluppate e diffuse . Attualmente si dispone di terapie farmacologiche , anche se quelle finora in uso non permettono di arrestare i processi del danno cerebrale . Lo scorso novembre 2024 tuttavia l’Agenzia Europea per i Medicinali ha approvato l’utilizzo dell’anticorpo monoclonale “lecanemab “ per il trattamento della malattia di Alzheimer nelle sue fasi iniziali e delle forme lievi di deterioramento cognitivo, quindi in una popolazione selezionata e caratterizzata anche dal punto di vista genetico. L’anticorpo è in grado di rimuovere gli accumuli di proteina amiloide dal cervello e ciò si traduce in un lieve rallentamento del declino cognitivo.Per la somministrazione, considerati anche i possibili effetti collaterali, sono richieste elevata capacità diagnostica ed organizzazione che per ora non sono nelle possibilità di tutti i Centri per le Demenze in Italia.
L’ individuazione dei possibili casi e la diagnosi precoce e tempestiva presso i CDCD rimane pertanto fondamentale per l’efficacia di tutti gli interventi finalizzati a rallentare la progressione della malattia e migliorare la qualità di vita dei pazienti e di coloro che se ne prendono cura.
Purtroppo esiste una notevole disparità per qualità e distribuzione delle risorse diagnostiche e dei servizi dedicati alle persone con demenza sul territorio nazionale; da qui la necessità di una riorganizzazione del Sistema Sanitario che garantisca un accesso equo ed uniforme alla diagnosi e alle cure . Essenziale è anche la sensibilizzazione della popolazione , aumentando il livello di conoscenza su queste patologie e sulle possibilità diagnostico- terapeutiche e socioassistenziali , incentivando il ricorso tempestivo al proprio medico, agli specialisti, ai servizi dedicati , nonché la formazione degli operatori sanitari per individuare precocemente i primi segni di decadimento cognitivo.
È la prevenzione attualmente l’arma più efficace che possediamo per affrontare le demenze,cui deve affiancarsi il potenziamento della ricerca e un consistente investimento per il sostegno sociosanitario a malati e famiglie e per la riorganizzazione sanitaria quanto mai necessaria ed urgente.
Nadia Comper
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